Gli abusi sugli attivisti della Flotilla

Gli abusi sugli attivisti della Flotilla

Gli attivisti della Global Sumud Flotilla, un convoglio umanitario internazionale partito per rompere il blocco navale israeliano su Gaza e consegnare aiuti alla popolazione, sono stati intercettati dalle forze israeliane in acque internazionali, sequestrati e detenuti per diversi giorni in Israele prima di essere espulsi.

Le testimonianze degli abusi

Dopo il rilascio, diversi attivisti hanno denunciato trattamenti duri e umilianti da parte delle autorità israeliane: abusi fisici, privazioni e umiliazioni psicologiche.

L’attivista climatica svedese Greta Thunberg è stata rinchiusa in una cella infestata da cimici, con cibo e acqua insufficienti che hanno causato disidratazione e eruzioni cutanee sospette. È stata costretta a rimanere seduta a lungo su superfici dure, trascinata per i capelli e spinta a tenere e baciare una bandiera israeliana per scatti propagandistici.

Tra gli italiani, Cesare Tofani ha parlato di un trattamento “terribile”, con molestie da parte di esercito e polizia. Saverio Tommasi ha denunciato il rifiuto di medicine e un trattamento “come scimmie”, con scherni e umiliazioni. Paolo De Montis ha descritto ore in ginocchio su un furgone con mani legate dietro la schiena, schiaffi e minacce con cani e puntatori laser. Lorenzo D’Agostino ha segnalato furti di beni personali e denaro.

Le sorelle malesi Heliza e Hazwani Helmi hanno definito il trattamento “brutale e crudele”: tre giorni senza cibo, acqua bevuta dal water, malati ignorati.

Attivisti svizzeri e spagnoli hanno denunciato percosse, privazione del sonno, reclusione in gabbie e insulti, con giornalisti come Carlos de Barron e Nestor Prieto costretti a firmare dichiarazioni in ebraico senza traduzione né assistenza consolare. Anche attivisti australiani hanno parlato di “trattamenti degradanti”, con torsione delle braccia e offese razziste.

La risposta israeliana

Il Ministero degli Esteri israeliano ha definito le accuse “menzogne sfacciate”, sostenendo che i diritti dei detenuti siano stati pienamente rispettati e che nessuno abbia presentato reclami formali durante la detenzione.

Diversamente, il ministro della Sicurezza nazionale Itamar Ben-Gvir ha espresso orgoglio per il trattamento severo, definendo gli attivisti “sostenitori del terrorismo” che meritavano di essere trattati “come i prigionieri di Ketziot”.

La reazione dei sostenitori di Israele

Le reazioni pro-Israele sono state prevalentemente difensive e minimizzanti. Le testimonianze di abusi sono state derise o liquidate come propaganda, mentre l’attenzione è stata spostata sulla legittimità dell’intercettazione e sui presunti legami con Hamas.

In questa logica, i maltrattamenti sono percepiti come “normali” o “minimali”, una risposta proporzionata a chi “sapeva a cosa andava incontro”. È una doppia negazione: le accuse sarebbero false, ma anche vere e irrilevanti.

Una strategia che serve a preservare l’immagine di Israele, screditando le voci critiche e normalizzando l’abuso come componente della sicurezza.

Cosa dice il diritto internazionale

Il diritto internazionale non ammette deroghe simili, nemmeno in contesti di conflitto.

Le Convenzioni di Ginevra (IV, 1949) e i Protocolli aggiuntivi impongono il rispetto della dignità dei civili detenuti: accesso a cibo, acqua, cure e divieto assoluto di trattamenti degradanti.

La Convenzione contro la Tortura (1984) e il Patto sui Diritti Civili e Politici (1966) vietano anche privazioni “minime” se inflitte deliberatamente, come il cibo scarso o le celle insalubri.

L’intercettazione di navi umanitarie disarmate in acque internazionali può violare la libertà di navigazione (UNCLOS, 1982). E sebbene il Palmer Report del 2011 abbia ritenuto legale il blocco israeliano in astratto, l’uso della forza contro civili umanitari resta ingiustificato.

Organizzazioni come Amnesty International e FIDH hanno definito l’abbordaggio della Global Sumud Flotilla “illegale” e “intimidatorio”. Per l’ICRC, un’azione simile non è giustificabile dall’articolo 51 della Carta ONU se non esiste minaccia armata immediata.

Nel complesso, i trattamenti descritti configurano violazioni multiple del diritto internazionale umanitario e dei diritti umani, anche se Israele le nega.

Il comportamento del governo italiano

Il governo Meloni ha mantenuto una posizione passiva e allineata con Israele, limitandosi all’assistenza consolare di base per i circa 20-30 cittadini italiani a bordo, tra cui quattro parlamentari.

Meloni ha pubblicamente definito gli attivisti “irresponsabili”. La marina italiana ha interrotto il tracciamento della Flotilla a 150 miglia da Gaza, ancora in acque internazionali. Il rimpatrio degli italiani è avvenuto grazie a un aereo turco, non su iniziativa del governo italiano, lasciando chi non poteva pagarsi il viaggio in una situazione di rischio prolungato.

È stata una gestione coerente con la linea di pieno allineamento a Israele, anche a costo di abbandonare cittadini italiani in condizioni di abuso.

La tutela dal basso

La protezione più tangibile è arrivata dalla società civile, l’equipaggio di terra.

Dalla sera di mercoledì 1° ottobre, subito dopo l’intercettazione, si sono accese proteste spontanee in molte città italiane, culminate nello sciopero generale del 3 ottobre e nella manifestazione nazionale a Roma del 4 ottobre, con oltre un milione di partecipanti.

Sindacati come CGIL, USB, CUB e SGB, insieme a movimenti pro-Palestina e opposizioni politiche, hanno costruito una rete di pressione che ha accelerato le liberazioni e amplificato il caso a livello internazionale.

Lo sciopero ha costretto il governo a reagire pubblicamente: Salvini ha denunciato la “guerra politica”, mentre Schlein e Conte hanno accusato Roma di complicità. Le conferenze stampa dei parlamentari liberati e la copertura dei media hanno trasformato la vicenda in un simbolo politico e morale, rilanciato da vignette e slogan come “I did it my wave”.

Non ha fermato l’intercettazione né avviato indagini ONU, ma ha riempito il vuoto lasciato dalle istituzioni, offrendo tutela attraverso visibilità, solidarietà e mobilitazione.

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