
Il 24 settembre 2025, undici imbarcazioni della Global Sumud Flotilla, incluse alcune battenti bandiera italiana, sono state attaccate in acque internazionali a sud di Creta. Si tratta del terzo attacco dall’inizio della missione umanitaria diretta a Gaza. Gli organizzatori hanno accusato Israele di aver utilizzato droni, sostanze chimiche non identificate e sistemi di disturbo delle comunicazioni radio.
Di fronte all’episodio, le reazioni sono state divergenti: l’Alto commissariato ONU per i diritti umani ha chiesto un’indagine indipendente, e il ministro della Difesa Guido Crosetto ha ordinato alla fregata italiana Fasan di prestare assistenza, seguito da misure simili della Spagna. Tuttavia, la presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha definito l’iniziativa della Flotilla “pericolosa e irresponsabile, finalizzata a creare problemi al governo”, e ha esortato gli attivisti a consegnare gli aiuti a Cipro per una distribuzione mediata dal patriarcato latino di Gerusalemme.
Il dilemma del governo italiano è evidente: da un lato, il dovere di proteggere i propri cittadini (tra cui anche parlamentari); dall’altro, la scelta strategica dell’allineamento con USA e Israele. La dichiarazione di Meloni tenta di risolvere questa tensione spostando la responsabilità sugli attivisti stessi: il messaggio implicito è che, mettendosi volontariamente in pericolo, le conseguenze siano principalmente una loro responsabilità.
Tuttavia, le parole ostili della presidente del consiglio non sono solo una presa di distanza. Esse aumentano il pericolo per la Flotilla. L’ attacco verbale di Meloni da New York, dopo l’ attacco armato dei droni in acque internazionali, delegittima l’azione umanitaria e legittima le azioni israeliane. Il segnale trasmesso è duplice: a Israele e USA assicura la continuità dell’allineamento; alla Flotilla, che non può contare sulla protezione dello Stato italiano.
La domanda retorica di Meloni – “Dobbiamo dichiarare guerra a Israele?” – è una strategia comunicativa che polarizza il dibattito tra due estremi. Questa reductio ad absurdum elimina tutte le sfumature della diplomazia (proteste formali, azioni legali, pressioni multilaterali) e nasconde la vera questione: come tutelare i cittadini attaccati da un alleato senza minare il rapporto strategico? Sostituendo una domanda difficile con una assurda, il governo evita di affrontare il problema nel merito.
Anche la mediazione italiana proposta (Cipro-Ashdod-Gaza) è rivelatrice. Il suo rigetto da parte della Flotilla è stato letto da Israele come una prova della “natura provocatoria” della missione. In realtà, la proposta ignora la radice del problema: la carestia forzata a Gaza è causata proprio dal blocco israeliano, già definito illegale da numerosi giuristi e condannato dal Consiglio ONU per i diritti umani dopo l’attacco alla Mavi Marmara del 2010, che questa mediazione avrebbe implicitamente riconosciuto come legittimo. Accettare significherebbe vanificare lo scopo politico della Flotilla: denunciare il blocco israeliano e l’immobilismo internazionale.