Il video dell’ostaggio israeliano denutrito

Hamas ha diffuso un video scioccante: l’ostaggio israeliano Evyatar David, denutrito e fragile, scava una fossa in un tunnel a Gaza

Hamas ha diffuso un video scioccante: l’ostaggio israeliano Evyatar David, visibilmente denutrito e fragile, scava una fossa in un tunnel a Gaza. Dice di non mangiare da giorni, di sopravvivere con una piccola lattina di legumi ogni due giorni, di segnare su un calendario le giornate di digiuno assoluto. Il volto pallido, il corpo smagrito, la voce debole testimoniano una condizione estrema.

La sua detenzione è disumana: privazione di cibo, umiliazione, uso del suo corpo e della sua immagine come arma di pressione e guerra psicologica. Condivido la pena e l’indignazione per le condizioni in cui è detenuto questo ragazzo.

Tuttavia, la fame a Gaza non riguarda solo gli ostaggi. Le agenzie ONU avvertono che gli indicatori di alimentazione e nutrizione superano ormai le soglie della carestia. Secondo l’ultimo aggiornamento IPC, più di una persona su tre (39%) trascorre interi giorni senza mangiare; oltre 500.000 persone – quasi un quarto della popolazione – vivono in condizioni assimilabili alla carestia, mentre il resto affronta livelli di fame di emergenza. La malnutrizione acuta tra i bambini sotto i cinque anni a Gaza City è quadruplicata in due mesi, toccando il 16,5%: una soglia che implica un rischio concreto di morte per fame.

In un contesto simile, è difficile immaginare che Hamas possa nutrire adeguatamente i suoi prigionieri.

Già nel dicembre 2023, ufficiali dell’IDF avevano avvertito: distruggere Hamas e salvare gli ostaggi sono obiettivi in contraddizione. I bombardamenti sulle aree densamente abitate, la distruzione delle infrastrutture, gli sfollamenti forzati e il blocco degli aiuti alimentari e umanitari indicano che il governo israeliano non ha fatto della salvezza degli ostaggi la sua priorità. Lo confermano le proteste delle famiglie, che, fatte salve le colpe di Hamas, indicano il governo israeliano come il principale responsabile.

Le faccine ridenti

Faccine ridenti

L’uso sarcastico delle faccine ridenti è ormai un gesto sbrigativo, irrispettoso, passivo-aggressivo, per esprimere il proprio dissenso nei confronti di un post o di un commento.

Questo atteggiamento nega validità all’interlocutore, facendo passare il suo pensiero come ridicolo senza neanche discuterlo. Al tempo stesso evita di assumersi la responsabilità di una contro argomentazione o anche solo di una opinione contraria. E se l’altro si irrita, come lo si voleva far irritare, lo si può anche far passare per esagerato e permaloso, perché non sa accettare neppure una risata.

L’abuso di queste scorciatoie comunicative rende ambigue le interazioni digitali e produce sfiducia nella loro utilità. Soprattutto, banalizza le discussioni, cosa veniale quando si tratta di sport o gossip, invece riprovevole quando si parla di guerre e catastrofi umanitarie, perché si perde il senso del tragico.

Se anche si ritiene che il bersaglio sia molto negativo e proponga messaggi assurdi o in cattiva fede, la faccina sorridente rimane una reazione superficiale, che sfuma il confine tra la derisione e l’argomentazione. Non smonta e rimonta nulla e non è utile, anzi può confondere, i lettori “invisibili”, quelli che non partecipano al dibattito, ma leggendo provano a formarsi un’opinione.

Per parte mia, non ho mai usato questo tipo di faccine e le ignoro quando le ricevo. Penso che Facebook farebbe bene ad abolirle. È vero che rappresentano un’emozione negativa reale, che in alcuni casi potrebbe meritare di essere rappresentata. Ma, le emozioni negative raramente vengono ben gestite, più spesso nel loro abuso non fanno altro che generare altre emozioni negative, in un continuo circolo vizioso.

Gaza e Mariupol

Mariupol distrutta, marzo 2022
Mariupol distrutta, marzo 2022

Qualcuno, ad esempio Pierluigi Battista, ha mostrato le foto aeree di Mariupol distrutta nel 2022. Come a dire: voi che oggi denunciate la distruzione di Gaza, avete ignorato altre catastrofi simili. Fate due pesi e due misure.

Ma in questo modo, il giornalista finisce per paragonare – forse senza rendersene conto – i distruttori di Gaza ai distruttori di Mariupol. E se davvero volesse evitare il vizio del doppio standard, dovrebbe condannare entrambi. Invece no: è solidale con l’Ucraina, ma anche con Israele. Dunque, siamo di fronte al classico caso del bue che dà del cornuto all’asino.

È vero, alcuni osservatori adottano doppi standard. Ma non tutti. Per molti altri la differenza non sta nell’intensità della distruzione, ma nel contesto politico e morale. Nel caso dell’Ucraina, è chiaro chi è l’aggressore e chi è l’aggredito. Ed è proprio per questo che i nostri governi – italiani, europei, americani – sanzionano la Russia e sostengono l’Ucraina anche con le armi. Che altro dovremmo chiedere loro?

Al contrario, nel caso di Gaza assistiamo a una distruzione sistematica e a una crisi umanitaria deliberatamente provocata, ma i ruoli sono capovolti: l’aggressore, Israele, non solo non è sanzionato, ma viene attivamente sostenuto da USA e UE, con armi, denaro e copertura diplomatica. E i palestinesi – vittime di un’occupazione, di un assedio, di un massacro e ora anche della fame – vengono lasciati soli.

Per questo, se nel caso ucraino i governi fanno – almeno in parte – quel che devono, su Gaza sono assenti o complici. E allora tocca a noi: all’opinione pubblica, alla società civile, ai giornalisti liberi, svolgere un ruolo di supplenza politica e morale.

Il ricordo delle tragedie della Seconda guerra mondiale

Hiroshima 1945 e Gaza 2025 - Il ricordo delle tragedie della Seconda guerra mondiale
Hiroshima 1945 e Gaza 2025

Il ricordo delle tragedie della Seconda guerra mondiale dovrebbe essere un monito a non avvicinarci mai più a ciò che le ha rese possibili. Eppure, per una parte di noi, le bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki, i bombardamenti a tappeto sulle città – da Coventry a Dresda e Amburgo – e lo sterminio degli ebrei e di altre minoranze non rappresentano più un limite invalicabile, ma una giustificazione per varcare di nuovo quella soglia. Se lo hanno fatto loro, per sconfiggere il nazifascismo, possiamo farlo anche noi, per sconfiggere i nostri mostri. O, peggio, se vogliamo prevenire un genocidio che potrebbe colpire noi o chi ci somiglia, dobbiamo colpire per primi, annientare chi ci minaccia.

La memoria, per alcuni, ha smarrito la sua funzione immunitaria. O meglio: reagisce in modo autodistruttivo, come quelle risposte immunitarie che, cercando di difendere l’organismo dalla malattia, finiscono per distruggerlo.

Fare a gara per colpire le ginocchia dei manifestanti

Gara tra i cecchini israeliani per colpire alle ginocchia i manifestanti di Gaza, compresi i bambini, durante le marce per il ritorno

Anche di fronte a crimini di guerra gravi, ci sono notizie che stentiamo a credere, tanto appaiono insensate. Tuttavia sappiamo che in guerra – e non solo in guerra – la pratica di disumanizzare il nemico porta spesso a disumanizzare anche se stessi, fino a sfociare in una crudeltà gratuita. Per questo, per quanto sembri incredibile, non possiamo liquidare con leggerezza la denuncia di Francesca Albanese: soldati israeliani che, nei centri di distribuzione del cibo, sparano tra i civili ammassati, mirando anche alla testa e ai testicoli dei bambini.

Eppure, comportamenti simili sono già stati denunciati e documentati, anche dalla stampa israeliana. Per esempio, Haaretz, nel marzo 2020, riportò le testimonianze di soldati israeliani che raccontavano come i cecchini facessero a gara tra loro – con tanto di punteggi assegnati – per colpire le ginocchia dei manifestanti, compresi i bambini, durante le Marce del Ritorno. Una forma di lotta non violenta dei gazawi contro l’assedio, che l’IDF ha represso con centinaia di morti e migliaia di feriti, tra cui molti bambini amputati alle gambe.