Gli ostaggi israeliani potevano essere liberati prima e salvati tutti

Il 13 ottobre 2025 Hamas ha liberato circa venti ostaggi israeliani, gli ultimi sopravvissuti tra oltre 250 catturati nell’attacco del 7 ottobre 2023. In cambio, Israele ha rilasciato quasi duemila prigionieri palestinesi, secondo l’accordo mediato dagli Stati Uniti con il coinvolgimento di Egitto, Qatar e Turchia. (Npr)

Gli ostaggi, trattenuti per 738 giorni nei tunnel di Gaza, sono stati consegnati alla Croce Rossa e poi alle forze israeliane. Hamas ha accettato lo scambio sotto la pressione della distruzione di Gaza City; Israele, sotto quella delle proteste interne e delle pressioni internazionali, soprattutto quelle americane.

L’intesa, firmata tra Israele e Hamas il 9 ottobre in Egitto, avvia una tregua che potrebbe chiudere due anni di devastazione. Ma apre una domanda: perché non è arrivata prima? Gli ostaggi israeliani potevano essere liberati molto prima — e potevano essere liberati tutti.

Ottobre 2023 – Israele rifiuta l’offerta di Hamas

Subito dopo l’attacco del 7 ottobre 2023, Hamas propone la liberazione immediata di tutti i civili catturati in cambio dell’impegno israeliano a non invadere Gaza.

L’offerta, trasmessa tra il 9 e il 10 ottobre tramite canali qatarioti, mirava a evitare l’offensiva terrestre. Il governo Netanyahu la respinse senza esitazioni, preferendo la distruzione di Hamas all’accordo. Il rifiuto, fu rivelato mesi dopo dall’ex portavoce del Forum delle Famiglie degli Ostaggi, Haim Rubinstein. (Times of Israel)

Novembre 2023 – La tregua di sette giorni

Tra il 24 novembre e il primo dicembre 2023, un accordo mediato da Qatar, Egitto e Stati Uniti consente a Hamas di liberare 105 ostaggi, in cambio di 240 prigionieri palestinesi. (ABC)

Quando emergono dispute sulla liberazione di due soldatesse, che Hamas sostiene di non riuscire a localizzare, Israele accusa Hamas di violare l’intesa e riprende i bombardamenti.

Maggio 2024 – Il piano Biden respinto

Il 31 maggio 2024 Joe Biden presenta un piano in tre fasi: rilascio graduale di tutti gli ostaggi, ritiro israeliano da Gaza e ricostruzione del territorio. Hamas accetta, Israele rifiuta.

Il ministro per la Sicurezza nazionale Itamar Ben-Gvir, leader dell’estrema destra di Otzma Yehudit, minaccia di dimissioni e di far cadere la coalizione se l’intesa passa, vantandosi poi pubblicamente di averla sabotata. Insieme a Bezalel Smotrich, Ben-Gvir impone veti nel gabinetto di sicurezza, ignorando l’urgenza umanitaria e le pressioni familiari degli ostaggi. Secondo resoconti israeliani, questo stallo causa la morte di sei ostaggi, uccisi in tunnel bombardati durante le operazioni militari riprese a Rafah e Khan Younis. (JPost)

Netanyahu definisce l’accordo “inaccettabile” perché non prevede lo smantellamento completo di Hamas. Analisti come Charlie Herbert stimano che l’accordo avrebbe potuto liberare tutti i superstiti entro l’estate.

Ottobre 2024 – L’accordo Baskin ignorato

Un anno prima della liberazione finale, Hamas accetta integralmente un “Three Weeks Deal” proposto dal negoziatore israeliano Gershon Baskin: rilascio completo degli ostaggi in tre settimane, cessazione della guerra, cessione del controllo di Gaza a un governo civile tecnico. (Npr)

Netanyahu rifiuta, temendo di apparire debole e di perdere il sostegno della destra. L’amministrazione Biden, già distratta dalle elezioni, non interviene. L’occasione si perde, e la guerra prosegue a Rafah e Jabalia.

Gennaio–Marzo 2025 – La tregua interrotta

Tra il 19 gennaio e il 2 marzo 2025 una tregua di 42 giorni, mediata da Egitto, Qatar e Stati Uniti, porta alla liberazione di 33 ostaggi e di mille prigionieri palestinesi.

Alla fine della prima fase, Israele rifiuta di passare alla seconda, che avrebbe previsto la liberazione dei soldati e il ritiro totale delle truppe. Netanyahu esige la resa di Hamas, mentre l’amministrazione Trump appena insediata appoggia la linea dura. La guerra riprende con i bombardamenti su Gaza con un’intensità senza precedenti, proprio durante il primo giorno del Ramadan, un mese sacro per i musulmani, facendo subito un migliaio di vittime.

Aprile 2025 – La tregua di cinque anni respinta

Hamas propone una tregua di cinque anni, offrendo il rilascio di tutti i superstiti in cambio della fine delle ostilità e di garanzie per la ricostruzione di Gaza. (France24)

Israele respinge la proposta come “inaccettabile” perché non prevede la demilitarizzazione di Hamas. Netanyahu, pressato dall’estrema destra, sceglie l’offensiva “Carri di Gedeone” invece del negoziato.

Luglio 2025 – Il ritiro da Doha

Verso la fine di luglio, un accordo, mediato dal palestinese-americano Bishara Bahbah, sembra imminente. Hamas accetta una tregua di 60 giorni e lo scambio di tutti i superstiti per migliaia di prigionieri palestinesi. (Newsweek)

Ma Israele si ritira all’ultimo dalle trattative, preferendo rilanciare “Operation Gideon’s Chariots II”. Secondo i mediatori qatarioti, l’intesa avrebbe potuto chiudere la crisi ad agosto.

Agosto–Settembre 2025 – Il sabotaggio di Doha

Ad agosto, Hamas offre di liberare quindici ostaggi vivi in cambio di 800 prigionieri e una tregua di 45 giorni. Netanyahu rifiuta, pretendendo il rilascio di tutti, vivi e morti.

Pochi giorni dopo, il 9 settembre, un raid israeliano su un quartiere di Doha tenta di uccidere la delegazione negoziale di Hamas, ma fallisce, uccide comunque cinque persone tra cui il figlio del negoziatore Khalil al-Hayya. Il Qatar denuncia “terrorismo di Stato”. L’attacco fa saltare i colloqui. (Il Post)

Il modello che si ripete

Le otto occasioni mancate per liberare gli ostaggi israeliani tra il 2023 e il 2025 seguono un modello chiaro: Israele privilegia la guerra o tregue brevi per recuperare ostaggi senza cedere sul proseguimento della guerra fino al raggiungimento dei suoi obiettivi, mentre Hamas cerca accordi che conducano a una pace definitiva, con scambio di prigionieri, ripresa degli aiuti e ritiro israeliano da Gaza.

La responsabilità politica

La colpa primaria della condizione degli ostaggi resta di Hamas che li ha rapiti. Ma la responsabilità politica di non aver privilegiato la loro liberazione ricade sul governo israeliano.

Per due anni, il movimento delle famiglie degli ostaggi ha denunciato Netanyahu, accusandolo di anteporre la sopravvivenza della sua coalizione alle vite dei propri cittadini.

La destra di Ben-Gvir e Smotrich ha imposto veti che hanno bloccato ogni intesa possibile.

Così, mentre la guerra devastava Gaza e gli ostaggi morivano nei tunnel, la politica israeliana ha sacrificato i propri cittadini per un obiettivo irraggiungibile: la distruzione totale di Hamas. L’obiettivo ufficiale.

La parte umanitaria del piano Trump

Piano Trump

Spero che Hamas accetti il piano Trump. Non perché lo consideri giusto o equilibrato, ma perché contiene una parte umanitaria che da sola basterebbe a giustificarne l’adesione: cessate il fuoco immediato, liberazione degli ostaggi entro 72 ore, scarcerazione di 1700 prigionieri palestinesi, ripresa degli aiuti dell’ONU, ricostruzione delle reti idriche ed elettriche, degli ospedali e delle attività commerciali distrutte.

Rilevante anche la rinuncia alla deportazione forzata: i civili palestinesi potrebbero lasciare la Striscia se lo volessero, ma non sarebbero obbligati. Occorrerebbe però specificare che a chiunque scelga di partire spetterebbe sempre il diritto al ritorno.

Il nodo più controverso riguarda il futuro governo di Gaza: una “commissione palestinese tecnocratica e apolitica” sotto la supervisione di un “Consiglio della Pace” guidato da Trump e delegato a Tony Blair. In sostanza, un protettorato anglo-americano. Restano inoltre indefiniti i tempi del ritiro israeliano e l’estensione della zona cuscinetto.

Il disarmo di Hamas potrebbe essere positivo per i civili, ma resta una misura imposta dall’esterno. E l’intera proposta ha la forma di un ultimatum: a Hamas sono concessi solo pochi giorni per accettare una resa quasi incondizionata, senza margini di negoziazione, sotto la minaccia di lasciare Israele libero di “finire il lavoro”.

Se mi mettessi nei panni di Hamas, accetterei lo stesso. Sarebbe una sconfitta formalizzata, ma non necessariamente la fine. Le ideologie non muoiono uccise dalle armi: se sopravvivono le cause che le hanno generate, possono trasformarsi e rinascere. Dopo il 1945 il nazifascismo fu schiacciato da una grande alleanza antifascista. Eppure minoranze nostalgiche si riorganizzarono, fecero ancora danni e oggi sono tornate al governo in Italia, si candidano in Germania, hanno un peso rilevante in molti paesi occidentali. Forse sono persino al governo negli Stati Uniti e in Russia. Perché Hamas non dovrebbe avere un futuro, magari in forme diverse, politiche o clandestine?

Nessuna vittoria militare basta, da sola, a risolvere un conflitto politico.

L’attacco israeliano in Qatar

Chi approva l’anomalo attacco israeliano in Qatar vede soltanto il bersaglio: i leader “terroristi” di Hamas.

Chi approva l’anomalo attacco israeliano in Qatar vede soltanto il bersaglio: i leader “terroristi” di Hamas.

Si stupisce che altri non apprezzino l’omicidio mirato come alternativa alla strage, dopo aver tante volte condannato le stragi. Tutto ciò che non riguarda l’eliminazione del nemico viene messo da parte.

I leader di Hamas a Doha sono figure politiche. È tutt’altro che certo che possano essere considerati legittimi obiettivi militari. Il diritto di guerra distingue civili e combattenti, e tutela i leader politici che non svolgono funzioni operative. Colpirli significa compiere esecuzioni extragiudiziarie.

Inoltre, l’attacco ha violato la sovranità del Qatar, estendendo il conflitto a un Paese esterno e lontano dal teatro di guerra. Farlo in un’area civile espone inevitabilmente i civili a rischi, in contrasto con il principio di proporzionalità.

Chi giustifica operazioni di questo tipo interpreta il diritto internazionale in modo spregiudicato, o lo considera una semplice formalità. Ma senza regole, resta solo la legge del più forte. Può sembrare accettabile a chi pensa di giocare la parte del leone, ma i rapporti di forza possono cambiare, oppure l’evoluzione delle armi può neutralizzarli: anche il più debole, se capace di colpire una sola volta, può rendere vana la superiorità dell’altro. La giungla, oggi o domani, è un luogo insicuro per chiunque.

Non è un’astrazione: proprio oggi la Polonia ha visto violato più volte il proprio spazio aereo dai droni russi. Ogni abuso tollerato da uno Stato potente incoraggia altri a fare lo stesso. La forza cieca produce distruzione apparentemente senza senso, come la furia di un uomo che in casa spacca tutto — ma solo le cose degli altri. È questa la logica del terrore: colpire a caso per imporre sottomissione.

Infine, l’attacco in Qatar ha avuto un’altra conseguenza: ha colpito i negoziatori, non soltanto i nemici. I leader di Hamas erano riuniti per valutare la proposta americana di cessate il fuoco, che prevedeva la liberazione di tutti gli ostaggi in un giorno. Eliminare chi era al tavolo ha significato colpire anche i negoziati, e con essi l’ultima possibilità di salvare gli ostaggi.

Per il governo israeliano e per chi lo sostiene, gli ostaggi non sono la priorità. Restano i più vulnerabili, insieme ai civili di Gaza. Ma nella giungla i vulnerabili soccombono: non solo per gli artigli dei leoni, ma anche per la loro indifferenza.

Il video dell’ostaggio israeliano denutrito

Hamas ha diffuso un video scioccante: l’ostaggio israeliano Evyatar David, denutrito e fragile, scava una fossa in un tunnel a Gaza

Hamas ha diffuso un video scioccante: l’ostaggio israeliano Evyatar David, visibilmente denutrito e fragile, scava una fossa in un tunnel a Gaza. Dice di non mangiare da giorni, di sopravvivere con una piccola lattina di legumi ogni due giorni, di segnare su un calendario le giornate di digiuno assoluto. Il volto pallido, il corpo smagrito, la voce debole testimoniano una condizione estrema.

La sua detenzione è disumana: privazione di cibo, umiliazione, uso del suo corpo e della sua immagine come arma di pressione e guerra psicologica. Condivido la pena e l’indignazione per le condizioni in cui è detenuto questo ragazzo.

Tuttavia, la fame a Gaza non riguarda solo gli ostaggi. Le agenzie ONU avvertono che gli indicatori di alimentazione e nutrizione superano ormai le soglie della carestia. Secondo l’ultimo aggiornamento IPC, più di una persona su tre (39%) trascorre interi giorni senza mangiare; oltre 500.000 persone – quasi un quarto della popolazione – vivono in condizioni assimilabili alla carestia, mentre il resto affronta livelli di fame di emergenza. La malnutrizione acuta tra i bambini sotto i cinque anni a Gaza City è quadruplicata in due mesi, toccando il 16,5%: una soglia che implica un rischio concreto di morte per fame.

In un contesto simile, è difficile immaginare che Hamas possa nutrire adeguatamente i suoi prigionieri.

Già nel dicembre 2023, ufficiali dell’IDF avevano avvertito: distruggere Hamas e salvare gli ostaggi sono obiettivi in contraddizione. I bombardamenti sulle aree densamente abitate, la distruzione delle infrastrutture, gli sfollamenti forzati e il blocco degli aiuti alimentari e umanitari indicano che il governo israeliano non ha fatto della salvezza degli ostaggi la sua priorità. Lo confermano le proteste delle famiglie, che, fatte salve le colpe di Hamas, indicano il governo israeliano come il principale responsabile.