
Siamo tutti antifascisti. E siamo tutti contenti che il Parlamento europeo abbia respinto la revoca dell’immunità di Ilaria Salis richiesta dall’Ungheria. Revocarla avrebbe significato consegnarla a un sistema giudiziario autoritario, dove i diritti e le garanzie degli imputati sono ignorati e la pena è già scritta.
Ilaria Salis è già stata detenuta in una cella di massima sicurezza, in condizioni sanitarie precarie: senza visite mediche, carta igienica, prodotti per l’igiene mestruale, cibo e acqua a sufficienza. Nella sua cella c’erano topi, scarafaggi, cimici. Un rapporto del Comitato ungherese di Helsinki per i diritti umani ha confermato che questa è la realtà delle carceri ungheresi. Durante le udienze, Salis è stata mostrata in aula con un guinzaglio al collo, mani e piedi legati.
È rimasta in carcere dal febbraio 2023 in attesa di giudizio e, nei primi sei mesi, senza contatti con la famiglia. Le autorità ungheresi le hanno proposto di patteggiare per undici anni di pena. Dopo il rifiuto, rischiava fino a ventiquattro anni, come se avesse commesso un omicidio o un attentato terroristico.
Tutto questo perché è accusata di aver aggredito militanti neonazisti durante la “Giornata dell’onore”, ricorrenza dell’estrema destra ungherese che celebra la resistenza di un battaglione nazista contro l’Armata Rossa. Ma nessuna delle presunte vittime l’ha denunciata o indicata come aggressore. Nelle immagini usate per incriminarla non è riconoscibile, e non è dimostrata alcuna affiliazione a gruppi estremisti.
Perciò fu giusto candidarla al Parlamento europeo, e oggi è giusto che l’immunità resti in vigore. Tutto è bene ciò che finisce bene, ma resta un problema: la revoca è stata respinta per un solo voto, grazie al voto segreto. Il Partito Popolare europeo ha votato in maggioranza a favore, sostenendo che il presunto crimine sarebbe stato commesso prima dell’elezione: una giustificazione priva di senso giuridico e politico.
Quasi metà dell’Europarlamento era pronta a consegnare una sua deputata a un paese dove lo Stato di diritto non esiste. E in questa metà c’erano non solo le destre radicali, ma anche il PPE, parte integrante della cosiddetta “maggioranza Ursula” con socialisti e liberali. C’è da chiedersi allora su quali valori si regga questa maggioranza, se tra essi non rientra più, nemmeno simbolicamente, la difesa dei diritti civili e dei diritti umani in Europa.