Perché discuto con i filoisraeliani

Mi viene chiesto, e non da oggi, perché discuto con i filoisraeliani, con i sionisti, con i negazionisti. Perfino ora che a Gaza è in corso un massacro, forse un genocidio. La domanda pare un complimento: “che pazienza, sembri un santo”. Ma ci sento dentro una nota di rimprovero: “non dovresti parlare con loro”, “non dovresti legittimarli”.

Provo a rispondere così.

Anzitutto, credo che il mio modo di relazionarmi agli altri debba essere coerente con ciò che penso. Se voglio la pace, la convivenza e la giustizia, il mio comportamento deve essere pacifico, tollerante e giusto. Non mi convince chi lotta contro la guerra con toni bellicosi, perché manda un messaggio divergente. Allo stesso modo, se mi oppongo alla cancellazione dei palestinesi, non posso comportarmi come se volessi cancellare i sostenitori di Israele: sarebbe una contraddizione.

C’è poi un altro punto. Le persone che hanno uno spirito militante tendono a simboleggiare: vedono nell’interlocutore il rappresentante di una ideologia, un partito, un sistema, uno stato. Così il filoisraeliano diventa Israele, il filopalestinese diventa Hamas. Rifiuto questa logica. Anche se il mio interlocutore si presenta come “voce di Israele”, io lo considero una persona, non uno Stato. Lo stesso chiedo per me: non sono il portavoce di un gruppo, ma un individuo con le sue idee.

Infine, c’è una ragione più pratica. Le persone imparano meglio per opposizione. Se scrivo un testo con la mia versione della realtà, ha un certo impatto. Ma se mi misuro in un contraddittorio, l’effetto è maggiore: chi legge vede se certi argomenti reggono oppure no alla prova dei fatti e della logica, trova contro-argomentazioni da usare, si orienta meglio. Il dialogo non serve a convincere chi mi sta di fronte, ma a dare strumenti a chi osserva la discussione.

Per questo continuo a discutere. Non è indulgenza, né è neutralità. Vuole essere coerenza e rispetto per la dignità delle persone come individui, un modo per confutare le bugie o le cattive argomentazioni nel momento stesso in cui vengono pronunciate. Discutere, per me, non significa concedere: significa resistere in modo pacifico e coerente.

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