Lo sciopero generale israeliano

Lo sciopero generale israeliano. La piazza di Tel Aviv

Il post di Lorenzo Tosa sullo sciopero generale israeliano ha una linea chiara e, secondo me, coglie un punto reale: la grande mobilitazione in Israele non nasce da empatia per i palestinesi, ma dal dolore e dalla pressione delle famiglie degli ostaggi. La manifestazione di Tel Aviv è stata centrata sullo slogan “Riportateli tutti indietro”, e questo dato oggettivo va riconosciuto.

Ma, Tosa semplifica il senso della piazza. È vero che non era una manifestazione per Gaza, ma dentro quella moltitudine c’erano anche persone e gruppi critici verso la guerra in quanto tale, capaci anche di pronunciare la parola “genocidio” o che vedono la liberazione degli ostaggi legata al cessate il fuoco. Non è stata una piazza “per i palestinesi”, ma non stata neanche impermeabile a un discorso di solidarietà e di soccorso ai palestinesi.

Anche se motivata da ragioni “nazionali”, la protesta indebolisce Netanyahu e spinge verso un cambio di linea politica. In questo senso, può avere un effetto indiretto anche sulla fine della guerra, pur non nascendo da una solidarietà diretta verso i palestinesi.

Il post sembra quasi voler “raffreddare” chi, in buona fede, aveva letto la protesta come una mobilitazione per Gaza. È una precisazione giusta, ma rischia di scivolare nel disincanto totale: il messaggio implicito è che non ci si può aspettare nulla da Israele sul piano della coscienza morale collettiva. Questo può portare a un fatalismo che non riconosce sfumature e processi interni.

Non possiamo esser certi che “se tutti gli ostaggi fossero tornati a casa, anche di fronte a 60.000 morti palestinesi e il quintuplo torturati dalla fame, in quella piazza non ci sarebbe stato che qualche migliaia di persone, forse neanche quelli”.

Se tutti gli ostaggi fossero tornati a casa, forse in Israele ci sarebbe più spazio per l’empatia e la guerra avrebbe più difficoltà a trovare una giustificazione.

Tosa ha ragione a dire che quella piazza non era per Gaza. Però sottovaluta che, anche se il motore principale è “egoistico” (gli ostaggi), questa mobilitazione può aprire crepe nella narrazione dominante e spingere a soluzioni favorevoli anche alla sorte dei palestinesi.

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