L’assassinio di Anas Al-Sharif

L’assassinio di Anas Al-Sharif

Sull’assassinio di Anas Al-Sharif, molti sostenitori di Israele hanno riciclato le consuete carte dell’IDF: il giornalista sarebbe un terrorista di Hamas sotto copertura. Peccato che le ‘prove’ – documenti finanziari opachi, video granulosi, post decontestualizzati – siano inverificabili e, sul piano logico, poco credibili: perché mai Hamas dovrebbe usare giornalisti come copertura in un territorio che già controlla? A Gaza, i reporter non ‘coprono’ nulla, sono anzi tra le categorie più prese di mira. E anche se fosse, un agente sotto copertura non diventerebbe certo una star dei social e il volto più noto di Al Jazeera.

C’è però un difensore di Israele, Andrew Fox, che va oltre le giustificazioni convenzionali: per lui, Al-Sharif era un bersaglio legittimo non (solo) per presunti legami con Hamas, ma perché giornalista di un network che ‘combatte’ la guerra dell’informazione. Gaza, insomma, si conquista anche a colpi di hashtag e dirette TV. Una tesi che equipara il giornalismo alla guerra asimmetrica, autorizzando di fatto l’omicidio di chiunque influenzi l’opinione pubblica. Se fosse coerente, Fox dovrebbe accettare che anche la sua retorica – volta a manipolare il dibattito – lo renda un ‘bersaglio’. Ma il punto è questo: se ogni reporter scomodo può essere bollato come ‘combattente’, la libertà di stampa è già morta.

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