Francesca Albanese e il sindaco di Reggio Emilia

Francesca Albanese e il sindaco di Reggio Emilia
Reggio Emilia – Teatro Municipale Valli – 28 settembre 2025

Nei giorni scorsi è circolata una shitstorm, una delle tante, contro Francesca Albanese. La narrazione era più o meno questa: Francesca Albanese si è comportata come un’ingrata nei confronti di Marco Massari, sindaco di Reggio Emilia, che l’ha premiata con la consegna del Primo Tricolore, ma nel discorso cerimoniale ha nominato gli ostaggi israeliani rapiti il 7 ottobre 2023, così il pubblico lo ha fischiato e lei lo ha rimproverato pubblicamente e poi ironicamente perdonato. La shit-storm alla fine si è trasferita sui principali siti d’informazione, tradotta in titoli e articoli dei grandi quotidiani.

I protagonisti di queste manifestazioni in contesti “protetti” (teatri, premi, panel) – immagino ne facciano molte – sottovalutano l’impatto che le loro parole possono avere quando vengono amplificate sui social. Qualche volta succede, qualche volta no, e loro non possono sapere quando capiterà. Un discorso pensato per un’aula da 500 persone finisce in un clip da 15 secondi su TikTok o X, decontestualizzato, pronto per essere usato come un arma.

L’intervento del sindaco mostrato nella clip mi è parso un po’ stereotipato e preoccupato di bilanciarsi. Va bene la condanna del 7 ottobre. Va bene dire che il 7 ottobre non giustifica il genocidio di Gaza. Ma dire che la fine del genocidio e la liberazione degli ostaggi sono condizioni per avviare il processo di pace può essere problematico. Intanto, perché mette insieme due cose certamente gravi e correlate, ma di dimensioni molto diverse. Un genocidio è una cosa, la detenzione degli ostaggi un’altra. Non si possono pareggiare. In secondo luogo, la fine del genocidio e anche la liberazione degli ostaggi sono giusti di per sé, non hanno bisogno di essere giustificati come condizioni per qualcosa di più importante.

Inoltre, finora è stato vero il contrario: la maggior parte degli ostaggi è stata liberata durante le fasi di tregua. Quindi, è la pace, o la sospensione della guerra, a essere una condizione favorevole alla liberazione degli ostaggi. E la pace e la fine del genocidio possono coincidere. Se il sindaco, per pace intende il processo di pace in termini paragonabili a Oslo 1993, allora bisogna dire che al governo di Israele quel processo di pace nessuno lo aspetta, né lo desidera. Gli attuali governanti israeliani sono sempre stati contrari al processo di pace in qualsiasi contesto. E il contesto generale del conflitto è l’occupazione israeliana dei territori palestinesi. Questo è il nodo. Il 7 ottobre e gli ostaggi sono una conseguenza. Criminale, non necessaria, ma conseguenza.

Francesca Albanese non ha detto nulla di male. “La pace non ha bisogno di condizioni” è un principio etico solido, che mette al centro il diritto internazionale e umanitario senza gerarchie. E nelle sue battute sul palco, forse non ha avuto spazio per articolarlo come in un report ONU, ma il succo è lì: la fine di una strage non si condiziona, non è condizione per altro, vale di per sé. La pace si realizza con la fine dell’occupazione e della colonizzazione. Le shitstorm, che strumentalizzano il frammento di una manifestazione, per deformare una posizione che sentono avversaria, servono a distogliere lo sguardo da questo punto.

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