
Per molto tempo ho difeso il principio dell’arco costituzionale: c’erano forze legittimate a competere nella dialettica democratica, e c’era un’area fascista esclusa e ghettizzata all’estrema destra, con la quale non si parlava. Ancora nel 1997 ero contrario al primo faccia a faccia televisivo tra Fausto Bertinotti e Gianfranco Fini.
Poi, tra il 1998 e il 1999, ho cominciato a navigare in Internet. Nei gruppi di discussione incontravo fascisti, nazisti, comunitaristi, indipendentisti padani, mascolinisti, negazionisti, rosso-bruni antelitteram. Mi incuriosivano, ci discutevo, pur pensando che con loro non bisognava parlare.
Ma ciò che mi spiazzava di più erano le persone “normali”, liberal-conservatrici o liberal-democratiche, convinte che fossero giusti i bombardamenti della Nato sulla Serbia nel 1999 senza l’autorizzazione dell’ONU. Secondo loro, colpire i civili era inevitabile, oppure giustificato dal fatto che i serbi avevano eletto Milosevic.
Lo stesso copione tornava altrove. Liberali che sostenevano la repressione del movimento “no-global”, che dopo l’11 settembre criminalizzavano i musulmani, che durante la seconda intifada disprezzavano la vita dei palestinesi, che dicevano di essere contro le discriminazioni ma approvavano politiche restrittive contro migranti e rom.
Mantenevo la convinzione che sessismo e razzismo non dovessero essere tollerati. Ma ormai civiltà e barbarie si erano intrecciate in modo indissolubile. I miei steccati perdevano senso. Continuare a tenerli alzati mi dava l’impressione di ritrovarmi in una situazione rovesciata: mentre loro, da posizioni dominanti e “rispettabili”, dettavano l’agenda, nel ghetto c’ero finito io.